Le opere di Charles Bukowski vengono ripubblicate e le sue citazioni sono online, quindi è possibile scoprire le sue poesie, l’amore e anche le produzioni inedite. E sappiamo che troverà sempre nuovo pubblico a seguirlo e ad appassionarsi. Andiamo a conoscere la vita del poeta e alcuni suoi componimenti, anche intervallati da suoi pensieri scritti come aforismi e che riportiamo fedelmente, come in una recente rappresentazione dei soci del Salotto Culturale Ore d’Otium.
Chi è Charles Bukowski?
Conoscete Bukowski? Difficile da amare. Ma una volta conosciuto, è altrettanto difficile sottrarsi al suo fascino.
Considerato ‘scrittore maledetto’, ‘sporcaccione’, si può scoprire invece un artista e un poeta. Può esserci timore di affrontarlo e conoscerlo. Infatti, Charles Bukowski può essere visto come un ubriacone o un vagabondo. In ogni caso, bisogna considerare che è un artista che è capace di mettere a nudo, in maniera schietta, la profonda fragilità dell’essere umano.
La personalità di Bukowski
Charles Bukowski coinvolge perché racconta dell’individuo. E perché facilmente si riesce come spettatori e lettori a ritrovarsi nelle sue parole, nelle riflessioni e negli stati d’animo. Risulta talmente schietto da sembrare spietato. Invece, è realistico.
“A non rinunciare a fare qualcosa che sentiamo perché è sempre meglio un fallimento che un rimpianto”.
Oggi si inneggia al Don’t Try, che troviamo scritto sulla lapide di Henry Charles Bukowski – Hank, nato nel 1920 e morto nel 1994.
Bukowski è diverso dagli altri poeti. Si possono ritrovare in lui tratti di vari artisti, ma cercare raffronti è impossibile perché è diverso.
Nacque nel 1920 ad Andemach, in Germania col nome di Heinrich Karl da madre tedesca e da un sergente statunitense di origine polacche, un uomo rozzo e violento. Dall’età di tre anni fino alla morte è vissuto in America, a Los Angeles, città da lui amata e più volte descritta così:
“Ho avuto il tempo di conoscere questa città non vedo altro posto che Los Angeles“.
Da bambino e poi da ragazzino a scuola era discriminato per il forte accento teutonico e per una grave forma di acne, debellata con cure dolorose.
Incontrò per la prima volta il vino a 14 anni. Scriverà:
“Sul bere”
“Se succede qualcosa di brutto bevi per dimenticare. Se succede qualcosa di bello bevi per festeggiare. E se non succede niente bevi per far succedere qualcosa”.
Al Los Angeles City College, poco prima che cominciasse la seconda Guerra Mondiale si atteggiava a nazista perché si stufava di ascoltare le prediche patriottiche. Commentava:
“Non distinguevo Hitler da Ercole, ma sputavo qualsiasi cosa fosse malvagia o bestiale”.
E dichiarava: “La differenza tra dittatura e democrazia è che in democrazia prima si vota e poi si prendono ordini, in dittatura non dobbiamo sprecare il nostro tempo per andare a votare”.
Frequentò per due anni l’università: corsi di arte, giornalismo e letteratura.
“Primo amore”
Un tempo quando avevo 16 anni
c’era solo qualche scrittore
a darmi speranza e conforto.
A mio padre non piacevano i libri
e a mia madre neppure
(perché non piacevano al babbo)
specie i libri che prendevo io
in biblioteca:
D.H. Lawrence, Dostoevskij, Turgenev
Gorkij, A. Huxley Sinclair Lewis, e altri.
Avevo la mia camera da letto
ma alle 8 di sera bisognava filare tutti a nanna:
“il mattino ha l’oro in bocca,” diceva mio padre.
Poi gridava:
“Luci spente!”.
Allora mettevo la lampada sotto le coperte
e continuavo a leggere
sotto la luce calda e nascosta:
Ibsen, Shakespeare, Cechov,
Jeffers, Thurber, Conrad, Aiken e altri.
Mi offrivano una opportunità e qualche speranza
in un posto senza opportunità
speranza, sentimento. Me la guadagnavo.
Faceva caldo sotto le coperte,
qualche volta fumavano le lenzuola;
allora spegnevo la lampada,
la tenevo fuori per raffreddarla.
Senza quei libri non sono del tutto sicuro
di cosa sarei diventato:
maniaco, parricida, idiota, buonanulla.
Quando mio padre urlava
“Luci spente!”
son sicuro che lo terrorizzava
la PAROLA, ben tornita e immortalata
una volta per tutte nelle pagine migliori
della nostra più bella letteratura.
Ed essa era lì per me,
vicina a me
sotto le coperte
più donna di una donna
più uomo di un uomo.
Era tutta per me…e io la presi.
Bukowski passò 17 giorni in prigione per non essersi presentato alla chiamata di leva, perché non aveva dichiarato i suoi spostamenti all’esercito. Ma quando al diciassettesimo giorno passò la visita medica, fu riformato. Cresceva in lui l’amore per la lettura e gli nacque dentro l’impulso a scrivere. Pubblicò qualcosa, ma non ottenne il successo che sperava.
Trovò lavoro come postino a Los Angeles ma lasciò il posto dopo meno di tre anni. Nel 1955 beve tanto da finire in ospedale per un ulcera perforata. Si salvò per una trasfusione di sangue donatogli dal padre. Fuori dall’ospedale ricominciò a scrivere poesie. Tutte di rottura naturalmente. Rappresentavano spesso dei pugni dello stomaco per i lettori.
“Amore”
Amore, disse, GAS,
dammi un bacio d’addio,
baciami le labbra,
baciami i capelli,
le dita,
gli occhi il cervello,
fammi dimenticare.
Amore, disse, GAS
aveva una stanza al secondo piano
respinto da una dozzina di donne
35 editori
e una mezza dozzina di agenzie di collocamento,
ora non voglio dire che valesse
qualcosa.
Aprì tutti i beccucci
senza accenderli
e andò a letto.
Qualche ora dopo un tizio diretto
alla stanza 309
accese un sigaro
nella hall
e un sofà volò fuori dalla finestra
un muro venne giù come sabbia bagnata
una fiamma purpurea divampò fino a 12 metri d’altezza.
Il tizio a letto
nulla seppe e di nulla si curò
ma oserei dire
che quel giorno
si mostrò piuttosto in gamba.
Nel 1957 sposò una poetessa texana, Barbara Frye, senza averla mai vista prima. Lei dirigeva la rivista che aveva pubblicato alcune sue poesie.
“La Kenyon Review e altre questioni“
Era bello esser giovani ma io non lo sapevo,
somaro affamato, testardo irragionevole,
leggendo quella torre
di ben esercitato dispotismo letterario,
la Kenyon Review
a modo mio ne ammiravo la signorilità,
lo snobismo dei giochi di parola, l’innata mansuetudine.
ero di classe inferiore,
io, un depravato, uno spettacolo, uno schiavo dissoluto
eppure ero stranamente affascinato
da quella giostra meschina,
quella rabbia tranquilla,
da quello scudo di cultura;
leggere questo e altri giornali così
e poi tornare alla mia piccola stanza
o ai bar della notte
(più spesso ai bar) a incontrare un’altra razza
– pugni duri, sguardo annebbiato,
razza bizzosa, famelica –
e ad essa unirmi nella sua danza verso l’abisso.
Bere attenuava la nostra sconfitta,
ci riscaldava, ci bruciava.
La nostra sola sfida eravamo noi stessi,
nessuno avrebbe avuto niente a che fare con noi.
incoraggiato e accecato dal bere, li affrontavo nei vicoli,
questi tori, questi orsi, questi scemi bastardi,
ed erano bravi a menare
e neanch’io ero male.
Darci dentro, muoversi, nient’altro.
Era angusto il nostro mondo e un tantino crudele.
Il giorno dopo tornare in biblioteca
con un occhio chiuso,
il labbro gonfio,
le dita spellate,
un polso dolente e infiammato come l’inferno.
Girare altre pagine,
trovarle sottili, più sottili,
sempre più sottili,
come ali che non trattengano la luce.
Preso in mezzo tra il nulla e il nulla,
seduto al tavolo della biblioteca
tra il suicidio e la resa
non ero più giovane; ero più vecchio dei secoli.
Allora chiusi l’ultimo libro, l’ultimo giornale.
me ne uscii di lì.
Vedevo solo le strade.
mi ci buttai dentro.
Non riuscendo a sfondare nel mondo della letteratura, per dieci anni non scrisse nulla. Definì quel periodo una sbronza di 10 anni e visse bighellonando. Divorziò e riprese a bere e a scrivere poesie.
“Tante volte uno deve lottare così duramente per la vita che non ha tempo di viverla“.
Nel 1960 tornò all’ufficio postale di Los Angeles e per un decennio lavorò come archivista.
“Se inizierò a parlare di amore e stelle, Vi prego: abbattetemi”.
Il suo primo grande amore Jane Cooney Baker la più importante fra le donne che lo ispirarono, morì nel 1962 e lui ne fu devastato. Scrisse poesie e racconti che mostrano il suo dolore si mise a nudo con “Un uccello azzurro”.
Nel mio cuore c’è un uccello azzurro
che vuole uscire,
ma con lui sono inflessibile;
gli dico: Rimani dentro,
non voglio che nessuno ti veda.
Nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma gli verso addosso whisky
e aspiro il fumo delle sigarette.
Le puttane e i baristi
e i commessi del droghiere
non sanno che lì dentro
c’è lui.
Nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io con lui sono inflessibile,
gli dico: Rimani giù,
mi vuoi fare andar fuori di testa?
vuoi mandare all’aria tutto il mio lavoro?
Vuoi far saltare le vendite dei miei libri in Europa?
Nel mio cuore c’è un uccello azzurro
che vuole uscire
ma io sono troppo furbo:
lo lascio uscire solo di notte
qualche volta
quando dormono tutti.
Gli dico: Lo so che ci sei,
non essere triste.
Poi lo rimetto a posto,
ma lui lì dentro un pochino canta,
mica l’ho fatto davvero morire,
dormiamo insieme
così, col nostro patto segreto
ed è così grazioso
da far piangere un uomo.
Ma io non piango,
e voi?
Nel 1964 Frances Smith la sua nuova convivente partorì Marina Louise, L’unica figlia di Bukowski. Lui la chiamava ‘White haired hippy’, ‘shack job’, ‘old snaggle-tooth’.
Nel 1969 in cambio di 100 dollari al mese, lasciò il lavoro e si recò ad un editore, Black Sparrow. Da allora in poi pubblicò quasi sempre con loro che per primi avevano compreso il suo genio e lo avevano aiutato.
Scrisse centinaia di racconti e migliaia di poesie, per un totale di oltre 60 libri. Suo pseudonimo, l’alter ego letterario, fu Henry Chinaski. Con questo, firmò la bellissima “Un posto a Philadelphia”.
Non c’è niente come esser giovani e affamati,
vivere in camere ammobiliate
e far la parte dello scrittore
mentre gli altri hanno i loro mestieri
e i loro averi.
Non c’è niente come essere giovani e affamati,
ed ascoltare Brahms,
a pancia sgonfia,
manco un’oncia di grasso,
allungati sul letto nel buio,
fumando una sigaretta rollata alla bell’e meglio
e lavorando sull’ultima bottiglia di vino,
i fogli che hai scritto sparsi per terra.
Ci sei passato sopra,
avanti e indietro e di traverso,
sui tuoi capolavori
che saranno letti all’inferno
o forse masticati da un topino curioso.
Brahms è l’unico amico che hai,
l’unico che vuoi,
lui e la bottiglia di vino,
mentre capisci
che non sarai mai
cittadino del mondo,
e se arriverai vecchio fino in fondo
lo stesso non sarai mai
cittadino del mondo.
Vino e Brahms
si mischiano ben bene
mentre guardi le
luci rincorrersi lungo il soffitto,
per gentile concessione delle auto di passaggio.
Tra un po’ dormirai
e certamente domani
aumenterà la mole dei tuoi capolavori.
Tutte le sue opere trattano delle sue esperienze di vita, caratterizzate dalla sua dipendenza dall’alcol e da frequenti esperienze sessuali descritte senza tanti giri di parole.
Visse due anni con Linda, adepta di una setta indiana. Ogni tanto la cacciava e lei si disperava, faceva lo sciopero della fame e lui la riprendeva. Nel 1985 un santone indiano li sposò. Scrisse che lei gli aveva regalato dieci anni di vita facendolo bere di meno e solo vino.
Nel 1988 si ammalò di tubercolosi e nel marzo del 1994 a San Pedro in California morì a 73 anni per leucemia fulminante, dopo aver terminato ‘Pulp’.
“Le due più grandi invenzioni dell’uomo sono il letto e la bomba atomica. Il primo ti tiene lontano dalle noie, la seconda le elimina”.
“Non dimenticare“
C’è sempre qualcuno o qualcosa
che ti aspetta,
qualcosa di più forte, più intelligente,
più malefico, più resistente,
più dolce, più grasso, più grande, più piccolo,
e qualcosa con occhi di tigre e fauci di squalo,
qualcosa di più pazzo della pazzia,
di più furbo della furbizia,
c’è sempre qualcuno o qualcosa
che ti aspetta,
mentre metti le scarpe
o dormi o vuoti il bidone dell’immondizia o carezzi il gatto o lavi i denti
o festeggi
c’è sempre qualcuno o qualcosa
che ti aspetta.
Tienilo bene a mente
cosicché quando succede
sarai il più pronto possibile.
Nel frattempo, buona giornata a te
se ci sei ancora.
io penso di esserci,
mi sono appena bruciato le dita
con l’ennesima
sigaretta.
https://www.periodicodaily.com/bukowski-poeta-eccentrico-dal-crudo-realismo/