Vita e opere di Stevie Van Zandt nel documentario Disciple. Il musicista racconta le sue avventure nel rock e non solo, dall’istinto quasi suicida dopo aver lasciato Springsteen ai soldi persi in tour negli ultimi anni (e quindi basta Disciples of Soul) fino all’ultimo valzer (forse) con la E Street Band.
Vita e opere di Stevie Van Zandt
Steven Lento, ovviamente italiano. Conosciuto come Little Steven, in onore di Little Richard, o come Miami Steve, soprannome dato, a quanto racconta, da alcuni amici, per il fatto che pare soffrisse sempre il freddo. Immenso chitarrista della E Street Band, la band di Bruce Springsteen, del quale è tuttora collaboratore, anche nel ruolo di arrangiatore. La breve ma intensa carriera di attore televisivo (1999-2007) nel ruolo di Silvio Dante nella pluripremiata serie televisiva dell’HBO I Soprano lo ha reso un volto celebre del piccolo schermo e uno dei personaggi più amati dello show.
E poi…
Qualche anno dopo Van Zandt diviene protagonista nella serie televisiva Lilyhammer, nella parte di Frank Tagliano. Insomma non solo Rock and Roll per Stevie. Nel 1985 fondò un’associazione di artisti contro l’apartheid (Artists United Against Apartheid), in cui hanno militato Bruce Springsteen, U2, Bob Dylan e i Run DMC, che insieme collaborarono al grande successo Sun City contro un mega resort situato in un bantustan (ghetto per persone di colore) nel Sudafrica.
Un’impresa difficile
La vera impresa di un documentario sulla vita e le opere di Little Steven Van Zandt è riuscire a farci stare dentro tutto. “Che esistenza complicata”, dice il regista Bill Teck, che ha diretto Stevie Van Zandt: Disciple, Silvio Dante ha messo fine all’apartheid. “È stato un lungo viaggio mentale e forse anche spirituale. Per un bel pezzo e fino a suppergiù un anno fa ero considerato soprattutto un attore. Era tipo: ero una rockstar un tempo, ma ora sto andando avanti con la mia vita.
Vita e opere di Stevie Van Zandt
Poi però Bruce ha rimesso insieme la band e c’ero anch’io, ma a mezzo servizio. Quando più di recente stavamo per tornare di nuovo, ed erano passati qualcosa come sette anni dal tour precedente, mi sono detto: questa potrebbe essere l’ultima tournée, devo tornare ad essere una rockstar per una volta ancora. Volevo sorprendere tutti, non esiste che sembrassimo un gruppo di vecchi che tornavano per riprendere la loro routine. Volevo che fosse roba esplosiva, tipo: siamo più vicini alla fine che all’inizio, ma non ce ne andremo zitti zitti. Ho perso 45 chili in sei mesi. Volevo rendere onore alla fedeltà del pubblico, alle canzoni pazzesche di Bruce Springsteen e alla E Street Band, mostrando rispetto e rimettendomi in forma per i concerti”.