Taxi Monamour: Ciro De Caro torna alle Giornate degli Autori

E’ stato presentato Martedì 3 settembre, alla 21ª edizione delle Giornate degli Autori Taxi Monamour, quarto lungometraggio del regista romano Ciro De Caro, con protagoniste Rosa Palasciano e Yeva Sai. Prodotto da Kimerafilm in collaborazione con RAI Cinema e distribuito da Adler Entertainment, dal 4 settembre uscirà nelle sale cinematografiche di tutta Italia.

Taxi Monamour: altro successo?

Dopo il successo di Giulia, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2011 e che gli è valso due nomination ai Nastri d’Argento e due ai David di Donatello, il regista romano Ciro De Caro torna alla prestigiosa vetrina delle Giornate degli Autori, col suo quarto lungometraggio Taxi Monamour. E ancora una volta si misura con l’universo femminile con uno sguardo discreto e mai invadente, riuscendo a coniugare col suo stile crudo e realistico leggerezza e profondità, pur con due drammi che riguardano le due protagoniste, lasciati volutamente sullo sfondo.

Il film

Il film si svolge per buona parte in una Roma insolitamente notturna e ordinaria fatta di fermate d’autobus che non passano più, banali palazzine popolari e anonimi parcheggi con la vecchia cabina per le fototessera. Nessuna celebrazione capitolina insomma, se non fosse per l’accento marcato di alcuni interpreti la Roma di Taxi Monamour potrebbe essere una qualsiasi città italiana. Come lo spazio, anche il tempo nel lavoro di De Caro è virtualmente indefinito. Non fosse per gli smartphone e la provenienza geografica di una delle due protagoniste, il film potrebbe essere ambientato oggi come venti o trent’anni fa. E’ un’impronta cinematografica essenziale e con pochi mezzi, su cui De Caro ha costruito la propria cifra stilistica.

Taxi Monamour ? Anna (Rosa Palasciano) e Cristi (Yeva Sai)

Già dal primo fotogramma scopriamo Anna, una delle due protagoniste, in un primissimo piano di Rosa Palasciano. Come in Giulia, primo vero successo di Ciro De Caro, è la protagonista ed è anche co-autrice del film, affiancando il regista anche con la penna nella stesura di soggetto e sceneggiatura. Segno di una grande intesa fra i due, sia dietro che davanti la macchina da presa.
Anna è bella lo vediamo subito, ha un viso mediterraneo dai tratti forti, e l’espressione costantemente velata da una tristezza di fondo come se potesse piangere da un momento all’altro. In precario equilibrio con un’ingenuità infantile che la fanno sembrare sempre sulla luna. E’ una cosa che si nota fin dalle prime scene e che andrà avanti per tutto il film.
Con Cristi (Yeva Sai) si incroceranno senza vedersi, su un autobus, uno dei tanti non-luoghi dove le vite delle persone si intersecano senza mai toccarsi. A bordo, un lungo silenzio nel quale scopriamo la seconda protagonista, molto bella anche lei, persa chissà dove con la testa al finestrino, il volto indurito e schivo a dispetto della sua giovane età.
Anna e Cristi si incontreranno davvero a causa di un autobus che non passa più, con davanti l’auto di due ragazzi arabi che alla fermata si offrono di accompagnarle per poi provarci maldestramente.
Dal finestrino il ragazzo grida maliziosamente “taxi monamour?”.
Un offerta d’aiuto, necessaria e inaspettata, ci si può fidare? Sarà il Leit Motiv di tutto il film (oltre a dargli il titolo), e definisce anche il rapporto tra le due ragazze che apparentemente (e perfino esteticamente) sono una l’alter ego dell’altra, ma con tanti punti di connessione che verranno fuori nonostante tutto.

Taxi Monamour far luce attraverso le ombre

Cristi è Ucraina, è scappata a Roma quando è iniziata la guerra e vive con gli zii, che cercano di sistemarle la vita meglio che possono mentre lei fa la badante con palese riluttanza. L’ombra della guerra a casa sua, il posto dove nonostante tutto vuole tornare, la seguirà stampata in volto per tutto il film. Sono pochissime le scene in cui la si vede sorridere davvero.
Cristi è schiva, diretta, di poche parole, e non si fida di nessuno.
Anna è italianissima, ha un (non)marito lontano per lavoro, anagrafe, mentalità e soprattutto una famiglia disfunzionale che taglia i panni addosso a ciascun membro lei compresa. Il suo maggior atto di ribellione a tutto questo è fare la cameriera in un pub anche quando non è in un turno, per sentirsi indipendente.
Anna è generosa, fatalista, pronta ad aiutare chiunque e a cacciarsi nei guai per quel suo modo di prendere gli eventi che la fa sembrare quasi una bambina.
Anna ha un brutto male che non viene mai nominato, di quelli che ti fanno perdere i capelli e che non vuole curare, non vuole accettare.
Questa è la sua ombra, che la seguirà per tutto il film.

Taxi Monamour una storia di liberazione al femminile

Con Taxi Monamour Ciro De Caro racconta una storia di liberazione ed emancipazione tutta al femminile, Anna e Cristi impareranno a conoscersi, a fidarsi l’una dell’altra e a riconoscersi pur rispettando i pianeti diversi da cui vengono, e le guerre diverse che stanno combattendo. Fino a volersi bene davvero, e in quale modo non è poi così importante.
La sospensione del giudizio è un cardine del modo di raccontare di Ciro De Caro, preferisce che siano le immagini a parlare e lo scorrere semplice della vita in tutta la sua crudezza. Non giudicare, come regista, come spettatore, e tra gli stessi personaggi è un principio fondamentale che lo stesso regista ha dichiarato più volte raccontandosi.
Il suo modo di girare è discreto, mai invadente, sempre in punta di piedi da dietro una porta. E stigmatizzato da un’inquadratura che ricorre spessissimo nel film, e in qualche modo rappresenta il suo approccio con la macchina da presa e il suo stesso modo di fare cinema: in moltissime occasioni ci ritroviamo come spettatori nell’abitacolo di una macchina, confinati nel sedile di dietro come quando eravamo bambini e i grandi ti portavano da qualche parte, parlando come se non fossimo lì. Dei protagonisti in scena vedi solo le teste da dietro, senti tutto quello che dicono, e il resto succede dietro il parabrezza senza alcuna connessione apparente. Un punto di vista privilegiato e ininfluente allo stesso tempo, discreto ma attento.

Il Cinema di Ciro De Caro è così, improntato più sul “non detto” che sulla dichiarazione esplicita. Più sul realistico asciutto e crudo che sul giudizio e i fuochi d’artificio.
E questo lo rende sicuramente intimista e poetico, ma bisogna essere disposti a elaborare tempi lunghi, scene dilatate, silenzi e “non detti”, invece di essere imboccati per tener viva l’attenzione ad ogni scena.