(Adnkronos) – Ci sono cose che vanno oltre le logiche di mercato. Una di queste è l’amicizia. “La prima stagione de ‘Il clandestino’ è andata molto bene, ma la scomparsa di Hassani Shapi, socio di Luca Travaglia nella serie e amico nella vita, mi ha fortemente messo in crisi sull’ipotesi di andare avanti. Nonostante io sia il protagonista, parte del successo è arrivato grazie a lui, che ha creato un personaggio meraviglioso: il contrappunto comico della storia rispetto al mio personaggio ombroso, introverso e pure un po’ antipatico. Mi sento orfano di quell’uomo e di quel personaggio”. A dirlo all’Adnkronos è Edoardo Leo, che fa luce sull’attesa seconda stagione della serie Rai ‘Il clandestino’, in cui interpreta l’agente Travaglia, che ha lasciato la Polizia dopo un attentato di cui si sente responsabile. A Milano trova la sua redenzione aprendo un’improbabile agenzia investigativa al servizio degli ultimi con Palitha, il personaggio interpretato da Shapi, morto lo scorso luglio.
Leo è nelle sale con ‘Non sono quello che sono’ (distribuito da Vision), da lui scritto, diretto e interpretato. Ci sono voluti 15 anni per portare sul grande schermo la versione moderna de ‘La tragedia di Otello’ di Shakespeare: “per troppi secoli c’è stata la convinzione che Otello fosse un eroe romantico” nonché “l’uomo che era stato costretto a uccidere per troppo amore a causa di un inganno”, spiega Leo, che nel 2024 ritiene “criminale” dare questa lettura dell’opera. “Avrei dovuto intitolarlo ‘La tragedia di Desdemona’, qui sbatto in faccia al pubblico un femminicidio nella sua crudezza, non è una ricostruzione romantica. E mi sono accorto che la gente esce dalla sala ferita, sconvolta”. Questo è il potere del cinema. Ma anche del regista, che si è sempre speso – con i fatti – per i diritti. Lo fa con il sindacato Unita, per tutelare i lavoratori dello spettacolo, e con la Fondazione Una Nessuna Centomila dedicata alla prevenzione ed al contrasto della violenza sulle donne, che viene celebrata il 25 novembre: “non me la posso cavare con un post sui social, io con il mio mestiere devo fare lo sforzo di farci un film”, sottolinea.
E in quest’ultimo progetto interpreta Iago, un ruolo che ha rappresentato non solo una sfida fisica – ha preso circa 20 chili e ha fatto un lavoro di invecchiamento con il trucco – ma anche emotiva. “Quando fai film del genere dentro di te si innesca un processo di introspezione. Nella mia vita non sono mai stato violento con una donna, neanche lontanamente”, però, “mi sono chiesto se qualche volta avessi avuto inconsapevolmente un atteggiamento maschilista o patriarcale”. Questo film per il regista è stata un’occasione anche per confrontarsi con una realtà diversa da quella “in cui sono stato istruito ed educato”, dice Leo, cresciuto “in una famiglia dove gli uomini non avevano bisogno di affermare la propria virilità”. Per questo “non ho mai avuto un rapporto conflittuale con la fragilità, che non ho mai considerato come qualcosa di negativo. È un aspetto che ho sempre accettato, fa parte del mio carattere e della mia sensibilità. Forse è uno dei temi su cui ho scritto più film”, spiega Leo. In giro e sui social “c’è un maschilismo disperato”. Il problema è che “noi non riusciamo a parlare ai maschi”, in particolare “ai giovani ragazzi”.
Durante il tour nelle università, in cui ha presentato ‘Non sono quello che sono’, “ho visto pochissimi maschi. Anche in questi giorni nelle sale sono molto di più le donne che vengono a vedere il film”. L’attore sottolinea la difficoltà “di entrare nella testa di questi ragazzi su certi temi. Io non ho la soluzione, quello che so è che dobbiamo interrogarci tutti come società”. E il regista e attore lo fa attraverso ‘Non sono quello che sono’ ma lo ha fatto anche in ‘Mia’ di Ivano De Matteo, uscito nel 2023. Film che si aggiungono a quelli scritti, diretti o solo interpretati da Edoardo Leo nei 30 anni di carriera, che festeggia quest’anno.
“Quando ho iniziato ero un ragazzotto non particolarmente formato e impreparato a scoprire questo mondo. Ma avevo una grande curiosità, che è non solo la mia miglior qualità ma anche l’unica cosa che mi porto dietro di quel tempo. Credo che mi abbia salvato la vita”, ricorda.
Il regista e attore non ha mai pensato “di mollare tutto” perché “questi trent’anni sono stati anche faticosi e difficili, quando mi è capitato di lavorare poco, ma bellissimi. Ho accettato anche cose brutte perché c’avevo un affitto da pagare, come tutti”. Ma adesso “posso finalmente scegliere cosa fare, quindi non è il momento di dire basta”. Da ‘Noi e la Giulia’ a ‘Smetto quando voglio’ fino a ‘Lasciarsi un giorno a Roma’: Leo, da attore o da regista, si è ritrovato a raccontare uomini sconfitti. “Forse è l’unico filo conduttore di questi 30 anni perché io mi sono sentito uno sconfitto”. Davanti al fallimento “puoi sentirti mortificato e con l’autostima distrutta oppure cerchi di galleggiare e di fingere di non aver fallito. Io – ricorda Leo – a un certo punto mi sono detto ‘questa cosa è stato un fallimento. Punto’. Dopo averlo accettato, sono ripartito. Forse è per questo che mi viene spesso la voglia di raccontare storie di fallimenti”.
Tra i prossimi progetti ci sono “un film con Paolo Genovese che ho finito di girare e uno di Massimiliano Bruno che inizio a breve. Ma non posso dire nulla”. A Capodanno “torno in teatro con il mio spettacolo ‘Ti racconto una storia’, che porto in scena da tanto tempo. Ma questa volta con una novità: con me ci sarà l’Orchestra sinfonica Giovanile di Roma, composta da 60 elementi tra violini e archi. Sarà una serata emozionante”, promette Leo.
“Non amo fare l’attore romanista, io sono attratto dall’epica dello sport. Una cosa che direi anche se non fossi romanista è che Claudio Ranieri è rispettato in ogni stadio e da tutte le tifoserie: nel film io non sono quello che sono, Ranieri è quello che è…”, dice sorridendo. Un allenatore “rispettato e amato come se avesse vinto qualsiasi cosa”. Quindi, “non c’è solo l’epica dei vincenti ma anche quella degli onesti, delle persone integre e per bene, dei lavoratori e dei grintosi ma anche di coloro che non cercano i sotterfugi”, spiega Leo, che si è detto dispiaciuto per “il mio amico Daniele (De Rossi, ndr)”, ma “aspettiamo e vediamo cosa succederà”. Da regista non ha dubbi su Ranieri: “è una figura cinematografica meravigliosa”. Un film sulla Roma? “No, non potrei mai. Quando ami troppo una cosa c’è il rischio di non essere lucido e il risultato è un ‘santino’. Ho fatto il documentario su Gigi Proietti perché non ero un amico profondo, ci ho lavorato tanto e da parte mia c’è sempre stato rispetto e adorazione massima. Quel distacco mi ha consentito di raccontarlo con lucidità”.
Alla domanda ‘sei felice?’, Leo cita Totò: “lui diceva che la felicità è fatta di attimi di dimenticanza. Ecco, in questo momento mi sto dimenticando di essere triste”, conclude. (di Lucrezia Leombruni)