Al cinema il docufilm su Edward Hopper, solo 9 e 10 aprile 2024

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Arriva al cinema ‘Hopper. Una storia d’amore americana’, il docufilm su Edward Hopper, solo 9 e 10 aprile 2024, il film-evento dedicato all’opera del genio pittorico di Edward Hopper. Andiamo ad approfondire, conoscendo più da vicino l’artista anche attraverso le sue opere.

‘Hopper. Una storia d’amore americana’

Arriva al cinema ‘Hopper. Una storia d’amore americana’, il docufilm su Edward Hopper, solo 9 e 10 aprile 2024. Si tratta del film-evento dedicato all’opera del genio pittorico di Edward Hopper.

E’ un nuovo appuntamento con ‘La Grande Arte al Cinema’ di Nexo Digital. Ha proposto il 30 e 31 gennaio ‘Il bacio di Klimt’, il docufilm diretto da Ali Ray che ‘indaga la storia, la sensualità, i materiali abbaglianti e i misteri di uno dei dipinti più suggestivi, conosciuti e riprodotti del mondo’. Per poi andare a trovare il 12 e 13 marzo ‘Uomini e Dei. Le meraviglie del Museo Egizio’ in collaborazione con il Museo Egizio, nell’anno del bicentenario della sua fondazione.

Ed ecco che nelle sale arriva il 9 e il 10 aprile 2024 ‘Hopper. Una storia d’amore americana’. Il docufilm, un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital, è diretto da Phil Grabsky che analizza a fondo l’arte di Hopper, la sua vita e le sue relazioni personali, dagli esordi al rapporto con la moglie Jo, che abbandona la sua promettente carriera artistica per fargli da manager.

E ancora il successo delle sue tele, la personalità enigmatica dietro il pennello, la capacità di indagare la solitudine moderna come nessuno prima di lui era riuscito a fare, tanto da dialogare, a distanza di decenni, anche con chi, in periodo Covid, si è trovato recluso, solo, isolato.

Come nasce ‘Hopper. Una storia d’amore americana’?

Con l’ausilio di interviste di esperti e letture di diari e grazie a un sorprendente sguardo gettato sul suo quotidiano, il film-evento ‘Hopper. Una storia d’amore americana’ fa rivivere l’artista probabilmente più influente di tutta la storia statunitense. Come recita il titolo, saremo trascinati all’interno di una storia d’amore tutta americana: l’amore per l’architettura e i paesaggi aperti e talvolta desolati degli States ma anche quello, tenero e appassionato, per la determinata compagna di vita Jo.

Spiega il regista Phil Grabsky: “Inizialmente sono stato attratto dall’idea di un uomo scorbutico, monosillabico e sgradevole, ma ho imparato che questa era una sintesi molto ingiusta dell’uomo Hopper, che è stato molto più complicato e complesso di così. Durante gli studi per il film, ho scoperto che non si può capire Edward Hopper senza capire sua moglie, Jo. È per questo motivo che, con il progredire delle ricerche, abbiamo cambiato il titolo in ‘Hopper. Una storia d’amore americana’.Abbiamo voluto fare riferimento sia al suo amore per l’architettura e i paesaggi americani, sia al suo rapporto con Jo. L’eliminazione della folla dalle sue scene urbane ci permette di concentrarci sulla narrazione di una persona sola e della sua solitudine”.

Hopper. Una storia d’amore americana è prodotto da Phil Grabsky con Exhibition on Screen. La colonna sonora è di Simon Farmer.

Chi è Edward Hopper?

Edward Hopper nasce il 22 luglio 1882 in una famiglia borghese americana a Nyack, piccola cittadina sul fiume Hudson, legata alla industria cantieristica di diporto.​

Dopo aver trascorso un breve periodo in una scuola per illustratori, dal 1900 al 1906 frequenta la New York School of Art, pensando di diventare architetto navale. Ma i suoi genitori, resisi conto delle sue capacità, lo convincono a studiare Design Commerciale.

Dopo la laurea, Edward Hopper lavora nell’agenzia di pubblicità C.Phillips & Company dove progettava copertine per riviste di settore. Il giovane, pur preferendo dipingere che fare il pubblicitario, svolge  questo lavoro per quindici anni.

Gli studi e gli incontri di Hopper

Tra gli insegnanti di Edward Hopper, verso la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90, vi fu Robert Henri, passato alla storia dell’arte come co-fondatore di The Eight, un gruppo di artisti che  contestavano i criteri conservatori e discriminatori della National Academy of Design.

Aveva studiato a Parigi per lunghi periodi, entusiasta dell’arte europea ma sempre più interessato alle radici americane. Con i suoi studenti, egli esaltava Rembrandt, Velazquez, Goya, Manet, Degas, Daumier, ma sottolineava che la vita americana di tutti i giorni conteneva un serbatoio inesauribile di argomenti nuovi e inediti.

A Parigi ‘studia’ vagabondando per la città osservando, disegnando e poi dipingendo quello che vedeva. Diventa sempre più indipendente da qualsiasi modello o ideale, sia nei soggetti americani che in quelli parigini. Scopre la luce unica di Parigi, dichiarando: “La luce era diversa da qualsiasi cosa avessi conosciuto: le ombre erano luminose; anche sotto i ponti c’era una certa luminosità“.

Continua a fare il pubblicitario come free-lance. L’esperienza acquisita come illustratore gli servì da stimolo a ricercare in ogni suo quadro l’essenziale in pochi dettagli rivelatori.​

Nel 1912, durante una  vacanza a Gloucester nel Massachusetts, dipinge per la prima volta un faro ed una serie di paesaggi. ​

Nel 1913 partecipa all’Armory Show International  Exhibition of Modern Art di New York e vende  finalmente un suo  quadro.

Visita poi Amsterdam, Londra, Bruxelles, Berlino, Madrid e Toledo. Nei Paesi Bassi, oltre a Rembrandt, scoprì Johannes Vermeer. Tra i pittori francesi, probabilmente influenzato dal suo maestro Henry, è colpito da Manet, Degas, Pissarro, Sisley e soprattutto da Monet, Cezanne e Van Gogh, trascurando l’avanguardia contemporanea.​ Ha poi ammesso: “Chi ho incontrato? Nessuno. Avevo sentito parlare di Gertrude Stein, ma non ricordo di aver sentito parlare di Pablo Picasso”.

Nel 1920, all’età di trentasette anni, ottenne la sua prima personale, una pietra miliare simbolica nella sua carriera, anche se nessuno dei sedici suoi dipinti fu venduto. Solo pochi anni dopo, nella sua seconda “personale”, vende tutti i quadri.

Nel 1924 sposa Josephine Verstille Nivison, anch’ella ex-studentessa di Robert Henri alla New York School of Art. Josephine è l’unica modella per tutti i personaggi femminili che dipinge da allora in poi.

Gli Hopper trascorrono quasi ogni estate dal 1930 fino agli anni ’50 a Cape Cod, Massachusetts, a Truro, dove costruirono la loro casa. Il paesaggio di Cape Cod, con le sue dune, case e fari, si ritrova in molti suoi dipinti. Cape Code è uno dei vertici della pittura americana.

Ormai universalmente apprezzato, muore a 84 anni, il 15 maggio 1967 nello studio nel centro di New York.

Lo stile di Hopper

Hopper ha identificato e rappresentato l’angoscia dell’anima dell’America moderna: solitudine, tristezza, vuoto e depressione, striscianti in un progresso che è spesso soltanto tecnologico ed economico.

Perché chiamare un docufilm su Hopper ‘Hopper. Una storia americana?’.

Intanto è esponente del realismo americano. Quindi perché grande merito del pittore è aver “visto”, riconosciuto un’arte solo ed innegabilmente americana. Mi riferisco ai caratteri identificativi ben visibili, che nessuno ancora enucleava. Ad esempio, il ‘bello’ che non risiedeva nelle sbrigative utilitaristiche costruzioni che caratterizzavano e caratterizzano gli Stati Uniti. Bensì, ritroviamo il suo stile maturo come altamente identificabile nella rappresentazione degli ambienti urbani.

I paesaggi del New England e gli interni, pervasi da un senso di silenzio e di estraniamento, spesso privi di attività umana, implicano la natura transitoria della vita contemporanea. I suoi protagonisti raramente sono ritratti nell’intimità della casa, li spiamo nei cinema, in camere d’albergo o ristorante. Generalmente, l’artista inserisce un unico personaggio, solo e distaccato fisicamente e psicologicamente, che pare vivere in una dimensione isolata. Oppure due o più persone che tuttavia non sembrano comunicare tra loro.

Nelle stazioni di servizio deserte, nei binari delle ferrovie e nei ponti, anche l’idea del viaggio è piena di solitudine e mistero.

I quadri di Hopper

I suoi quadri presentano personaggi ed ambientazioni normali, comuni, ma ad una seconda occhiata, guardando i particolari,  ogni suo dipinto racconta una storia.

Nighthawks (I Nottambuli)

Nel suo dipinto forse più noto, Nighthawks (i nottambuli) in un ristorante, all’incrocio di due strade del Greenwich Village, tre clienti e un cameriere sono rappresentati con freddi colori nella fredda luce artificiale. “Sì, inconsciamente ho dipinto la solitudine di una grande città“, ammette Hopper. Perse nella loro stanchezza e nelle loro preoccupazioni private, quelle figure sono del tutto staccate l’una dall’altra, senza legame alcuno.

Office at night (Ufficio di notte)

Il dipinto è stato suggerito da numerosi viaggi notturni in treno…e da sguardi fugaci all’interno degli edifici che hanno lasciato un’impressione fresca e vivida nella mia mente“, ha dichiarato Hopper, ribadendo che i suoi dipinti non rappresentano scene reali.

Sono arrivati a noi molti schizzi preparatori di questo quadro, dai quali apprendiamo che le figure sono state spostate, rendendo più provocante la donna. Dalla direzione del suo sguardo si capisce che si chinerà a raccogliere il foglio caduto quasi sotto la scrivania. ​Un fascio di luce illumina la parete chiara.

Hotel room (Stanza d’albergo)

C’è una donna (probabilmente la moglie Jo) con il volto in ombra. Il bianco del lenzuolo e il grigio del muro ne esaltano l’incarnato roseo.​E’ appena arrivata, si può comprendere dalle valigie non aperte, e ha in mano una lettera. Fuori è buio, la genericità della stanza con volumi squadrati in linee orizzontali e verticali e l’atteggiamento meditativo della donna infondono un senso di desolazione comune ad altre protagoniste dei dipinti di Hopper. Ad esempio la donna seduta sola alla tavola calda nel seguente dipinto.

Automat (Tavola calda)

Qui, la donna ha tra le mani  una lettera invece che una tazzina di caffè, ma comunica la stessa idea di solitudine. Infatti, all’interno del bar la donna seduta al tavolino è completamente sola. Dalla luce riflessa sul volto, si può intuire la profondità dei suoi pensieri. E’ talmente assorta nelle sue riflessioni da staccarsi da tutto il resto. La sua è una presenza quasi irreale. Potrebbe dimostrarlo l’assenza dell’immagine riflessa nella vetrata alle sue spalle. Mentre sono riflesse soltanto le luci del locale. È un luogo irreale, sospeso nel tempo e nello spazio, e rivestito proprio di quella solitudine che caratterizza i dipinti di Hopper.

Rooms by the sea (Stanze in riva al mare)

Rappresenta un interno di casa Hopper a Cape Cod. La prospettiva impedisce di vedere la scogliera a picco sul mare. La stanza da letto a destra è legata in una severa geometria.​

La luce del sole si staglia in diagonale sul muro e sul pavimento, creando uno straniamento della percezione della realtà.

NewYork pavements (Marciapiedi a New York)

E’ ripreso dall’alto, in una prospettiva originale. La casa è disposta obliquamente rispetto alla base del quadro e la nanny in movimento è tagliata a metà, enfatizzando così l’anomalia dello spazio della scena.

Predilige, dunque, i palazzi in stile delle città americane, ma non ne mostra gli interni, generalmente bui.

Difficilmente si riconosce un luogo preciso. I suoi quadri sono spesso assemblaggi degli elementi che preferiva.

Cape Cod evening ( A Cape Cod di sera)

Hopper afferma con un critico: “Quei quadri non erano la trasposizione di un luogo reale, ma un insieme di schizzi ed impressioni di cose che ci sono da queste parti; ‘erba secca piegata dal vento è quella che vedo dalla finestra del mio studio nella tarda estate ed in autunno”.

Ricordiamo che ‘Hopper. Una storia d’amore americana’, il docufilm su Edward Hopper, sarà disponibile nelle sale solo il 9 e il 10 aprile 2024, da un progetto Nexo Digital e diretto da Phil Grabsky.

https://www.periodicodaily.com/edward-hopper-il-22-luglio-1882-nasceva-il-genio-della-pittura-del-silenzio/

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