Definire il “male”: “Never let go” di Alexandre Aja

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“Non c’è nessun altro là fuori, siamo noi il mondo.” In una realtà dove il male ha posseduto ogni cosa, una madre e i suoi due figli vivono, o meglio, sopravvivono, in una casa circondata da un bosco corrotto dall’oscurità. È questa l’ambientazione del nuovo horror di Alexandre Aja, “Never let go” (2024), che abbiamo visto in anteprima presso la Sala Anica di Roma.

LA TRAMA di Never let go

La vicenda ruota attorno ad una famiglia che tenta di mantenere sicura la propria casa e di non farsi prendere dal male che abita il bosco che li circonda, e forse il mondo intero. Durante il giorno, grazie all’aiuto di tre lunghe funi che partono dal cuore della casa e che madre e figli si legano in vita, i tre possono allontanarsi per cercare cibo, fino a quando la stretta della corda ricorda loro che il mondo esterno non è un luogo sicuro. Piccoli rituali e preghiere scandiscono i gesti della famiglia, nel tentativo di rimanere al sicuro dalle figure che emergono tra gli alberi e che di notte si aggirano attorno alla casa, l’unico luogo che si è salvato grazie alla sacralità del suo legno.
La fame e l’esaurirsi delle scorte iniziano però a logorare lentamente i protagonisti, mentre il male esterno tenta di corrompere i due bambini, che iniziano a mettere in discussione le regole imposte dalla madre. Solo lei riesce infatti a vedere il male, vientando loro categoricamente di lasciare la corda o allontanarsi dal confine: se lo facessero, verrebbero presi dall’oscurità e aizzati l’uno contro l’altro.

LE NOSTRE IMPRESSIONI

“Never let go” ricorda per molti aspetti “Birdbox” di Susanne Bier, “A quiet place” di John Krasinski ma anche “The Village” di M. Night Shyamalan: anche qui il mondo esterno, popolato da un male invisibile, diventa esso stesso minaccia, e le paure di una madre si scontrano con lo scetticismo e la curiosità dei figli. È un horror che ha quindi molti elementi già visti, ma che sa comunque incastonarli in modo originale in un’ambientazione peculiare. Il film è nel complesso ben costruito e regala momenti di alta tensione, più che di vera e propria paura. La sceneggiatura non è impeccabile, ma il cast è bravo e il regista abile nel instillare il dubbio nello spettatore. Quanto a lungo possiamo restare legati al nostro posto sicuro per riuscire a sopravvivere? Cos’è realmente il male? Ma soprattutto, fino a che punto la paura verso l’ignoto è sinonimo di protezione?

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